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In tutto c'è stata bellezza di Manuel Vilas - Guanda (2019)

Nell’esistenza di ogni individuo c’è sempre un prima e un dopo, e la linea di demarcazione può essere più o meno netta, definitiva.

Siamo in Spagna, ultimo ventennio. L’autore Manuel Vilas consegna a un io narrante socialmente precario, marito separato, insegnante insoddisfatto, genitore incompleto e figlio a sua volta, il delicatissimo compito di evocare il rapporto coi genitori, non più in vita. Il romanzo non ha una vera e propria trama, manca di un plot: si tratta di ricordi, memorie di vita vissuta da figlio, marito e padre, riportate seguendo un ordine nemmeno cronologico, bensì evocativo, della memoria. Il risultato è quello di un diario diseguale – poiché appunto non cronologico – narrato in prima persona, riflessivo, privo di dialoghi reali con reali interlocutori, sincopato nella sintassi, severo e laconico nelle affermazioni che non lasciano spazio a repliche.

Il linguaggio non fa sconti al realismo, va diritto alla questione. Un bisturi affilato che scava nella ferita e si intrattiene in essa, a tal punto che, chi legge, può ritrovarsi nudo e scomodo per la potente empatia innescata tra quel sentire e il proprio. L’inquietudine esistenziale dell’io narrante si esprime e si concretizza attraverso dati sensibili e materiali: i genitori vengono evocati mediante le consuetudini, gli oggetti che sono stati loro accanto, mentre la loro vita si compiva.

Padre e madre hanno battezzato il mondo toccando quelle cose e hanno conferito a quelle stesse cose una sacralità messianica. L’associazione oggetto-persona richiama il correlativo oggettivo di Thomas Eliot, autore peraltro citato all’interno del romanzo, e l’enumerazione di oggetti e consuetudini domestiche sopravvissute alla morte e all’oblio rievoca il LESSICO FAMIGLIARE di Natalia Ginzburg.

Con una differenza: mentre in LESSICO FAMIGLIARE l’io narrante pare pacificatosi dalla perdita e aver assunto la giusta distanza letteraria per poterne raccontare, in IN TUTTO C’E’ STATA BELLEZZA, sebbene la bellezza della vita venga ritrovata in quelle cose, in quelle ritualità appartenute, resta comunque la percezione di un io ancora sgomento, attonito, non pronto all’addio, manifestato nella laconicità di certa sintassi spesso breve, concisa, e in un raccontare che è un congedo in divenire, un congedo che tenta di realizzarsi nel farsi della scrittura. La lettura di IN TUTTO C’E’STATA BELLEZZA è una lunga preghiera laica consegnata alla letteratura, una preghiera nella quale chi scrive, o il suo mandante, chiede di essere salvato.

 

Maria Giovanna Bucolo