LA STANZA DI SOPRA è un romanzo di geometrie di spazi e sentimenti insoluti, pendenti.
Immaginiamo un piano cartesiano: sull’asse verticale si colloca una scalinata, una casa, una stanza al piano di sopra; sull’asse orizzontale vive la sua vita di adolescente Ester, pericolosamente danzante sulla linea di spartiacque tra la fragilità della sua età e la rabbia, l’ossessione, la nostalgia per aver perso qualcosa di molto importante.
Tra questi due assi si muove una figura di donna adulta, moglie e madre, che vorrebbe tenere cucito un rapporto in realtà muto da tempo.
La stanza di sopra è occupata da un uomo: una posizione geometricamente superiore, posta all’estremità di quell’asse verticale, eppure l’autorevolezza è depauperata, egli non può distribuire né ordini, né carezze, pur continuando a esistere, a occupare uno spazio e un tempo oramai plastici.
La narrazione è condotta in prima persona: è Ester a parlare, ma sono molto frequenti i cambi di voce in terza persona che, da esterna, osserva gli scenari domestici con sguardo anatomico, minuzioso, onnisciente, soprattutto se rivolto a una bambina felice o sgomenta che invia messaggi di soccorso.
Il discorso è riportato in forma indiretta libera, che mescola piani temporali – quello di Ester quindicenne e quello di una bambina di ieri – e fonti sensoriali – si migra dal gusto all’olfatto al tatto alla vista con avidità e frenesia di chi ha urgenza di liberarsi di una zavorra:
Potenza del rosso scaraventata addosso al cielo. Papaveri come grida bocche spalancate lingue che hanno leccato il gelato alla fragola capezzoli turgidi nasi sanguinanti gole. Guardo, innamorata. I papaveri cresciuti sul bordo della strada. Pg. 107.
Le immagini restituite risultano spesso fotografie accostate in un montaggio sincopato e irrequieto.
In LA STANZA DI SOPRA potente è la corporeità con cui la protagonista si offre alle situazioni, una corporeità concitata, totale, cifra necessaria per tentare di rompere l’incantesimo del mondo infantile, istigare la rivolta in un corpo immobile e il senso di colpa in una madre segnata da intermittenze di affetti.
Due interrogativi per l’autrice: perché la scelta di una stanza di sopra, in alto, in una casa a sua volta in cima a una scalinata, come una via crucis necessaria per espiare colpe che non si trovano; perché collocarvi la figura paterna, anziché materna.
MARIA GIOVANNA BUCOLO